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Angelica e le comete

Angelica e le comete
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19 punti carta PAYBACK
Brossura:
136 Pagine
Editore:
Sellerio Editore Palermo
Pubblicato:
18/05/2017
Isbn o codice id
9788838936609

Descrizione

In Angelica e le comete Fabio Stassi ci incanta ancora una volta con pagine che ricordano il mito e che richiamano, come una lontana eco, Borges e le città invisibili. Un incanto fatto di parole che sanno di infanzia e di tradizione, di malinconia e magia, quella che solo un teatro di marionette come l’opera dei pupi può dare.

Il giudice Savonà ha una sola passione, la lettura; un unico diversivo, la visita quotidiana a una libreria antiquaria nel centro di Roma. Tra una udienza e l’altra si rifugia in quello stanzone zeppo di mappe e carte ingiallite. Un giorno si trova tra le mani La canzone di Ardesio, un libro il cui autore è Nardo Savonà, il suo stesso nome, lo stesso di suo padre, scomparso in guerra ma non caduto, semplicemente disertore e di cui ha solo vaghi ma ormai rancorosi ricordi. Una coincidenza che lo turba e che lo inabissa tra quelle vecchie pagine. Vi si narra di una compagnia di marionette, il padrone è lo Spagnolo, scontroso ed esigente, che conosce tante lingue ma non sa leggere, lo aiuta Bruciavento, un gigante dal passato burrascoso; se ne vanno in giro lungo le coste della Sicilia su un carro zeppo di pupi, paladini e saraceni ma anche diavoli, ippogrifi, angeli, 50 attori di legno, tutti tenuti a lustro con scimitarre fiammanti ed elmi e pennacchi multicolori. Si accampano nelle piazze e insieme raccontano sera dopo sera le storie dei paladini di Francia, della rotta di Ronsisvalle e dell’assedio di Parigi, della pazzia di Orlando per la bella Angelica che quando appare in scena ha movenze di ballerina, i suoi piedi non fanno rumore sulle assi sconnesse, nessun filo a tirarle braccia e gambe perché Angelica non è fatta di legno. Si chiama Cate, è una creatura di carne che la natura ha lasciato piccola e mal cresciuta ma che incanta con le sue movenze leggere e la sua grazia. Se ne innamorano i pupi e la proteggono da Bruciavento, che si approfitta di lei, con scimitarre e durlindane mentre il corno di Orlando lancia un suono lugubre e Ardesio, un pupo privo d’armatura, abituato a recitare da semplice comparsa, ribolle di rabbia. Poi una sera nel paese di Kalamet succede quello che non ti aspetti e Ardesio sente che è venuto il suo momento. Era proprio destinata al giudice La canzone di Ardesio? Una fantasticheria come una sorta di testamento? 

Angelica e le comete: un estratto

Nonostante il mio girovagare disordinato tra i librai della città, prima che la mia malattia si manifestasse, avevo costruito anch'io negli anni una tela d’incontri abitudinari e di preferenze. Genericamente ero conosciuto come Il Giudice e accolto sempre nel migliore dei modi. Non potevo chiedere di meglio. Il mercato dei libri d’antiquariato è un mercato ristretto, di vecchi aristocratici che amano le cose d’altri tempi e le comprano, nell'illusione scaramantica di allungare la loro stessa vita. I rapporti sono improntati alla massima riservatezza e quasi esclusivamente circoscritti ai libri. Là dentro io ero Il Giudice come altri erano Il Professore o Il Generale, e questo relativo anonimato ci consentiva d’intrattenerci con grande e reciproca libertà. Ma immagino che oltre al credito che si dava al mio lavoro, era il generoso contributo che avevo sempre offerto a queste librerie a garantirmi una considerazione di natura assai più pratica. In ogni caso, nessuna delle nostre conversazioni smentiva l’atmosfera criptica di quegli strani empori. Si parlava a voce bassa, con l’aria di complottare sempre chissà quali segreti, ci si scambiava consigli e impressioni. Sarebbe stato difficile, per chi mi aveva visto andare su e giù per gli uffici del tribunale, con la mia nera aria di sparviero, così dicevano i miei colleghi, immaginarmi tanto a mio agio al riparo soltanto di un appellativo generico e impersonale, lontano dall’imbarazzo delle aule e degli imputati. In quelle botteghe ritrovavo come una scintilla del grande fuoco che a vent’anni m’aveva spinto a farmi giudice. Il Professore avrebbe voluto vedermi nel pieno di una causa; gli rispondevo che non ne valeva la pena, che l’avrei deluso. Anche lui, forse, all’interno della sua classe era diverso da come appariva lì. Turoldo ce lo ripeteva spesso che le librerie come la sua erano una specie di purgatorio, che rendono gli uomini migliori di quello che sono, trattenendoli per qualche ora dall’inferno che c’è fuori. Turoldo era il padrone della libreria che frequentavo più spesso. Sorgeva in un caseggiato a lato del Tevere, a via della Lungara, vicino al carcere, tanto che, nel silenzio pomeridiano di quello stanzone zeppo di vecchie scartoffie, carte geografiche, spartiti, si sentivano le voci dei reclusi gridare verso i loro parenti là fuori, sul colle del Gianicolo. Erano i soli rumori che ne disturbavano la pace. Talvolta i fischi e quel fraseggio rimato tra i detenuti e l’esterno attraevano la nostra curiosità. Turoldo si avvicinava alla finestra e cercava di afferrare le loro parole. Non siamo forse nelle stesse condizioni? pensavo sempre osservandolo. Non comunichiamo anche noi come se fossimo dei carcerati che devono urlare per fare intendere i loro problemi, credendo che l’altro, il nostro destinatario, sia pur sempre più libero e quindi in grado di capirci e di doverci dell’aiuto? La sua presenza agiva su di me e sulle mie affannate ricerche dei libri che valesse la pena leggere in modo quasi socratico. Turoldo era un vecchio esperto, e dei vecchi aveva una saggezza pacata, e schiva. Avevo imparato ad apprezzarla sin dall’inizio, dalla sua stretta di mano. Come quello di un uomo pieno di ritegno era anche il suo conversare, a tratti diffuso e trasparente, a tratti umorale, oscuro, ma sempre ricco d’intuizioni, di sorprese, di metafore che lasciavano sgomenti. Un pomeriggio che mi aggiravo davanti ai suoi scaffali, mi prese per un braccio e mi disse che pure lui, un tempo, aveva avuto paura dei libri, e non pensava ad altro, e non sognava altro.