Jan Janszoon Struys, marinaio olandese che si muove dalla Russia alla Persia tra il 1668 e il 1670, appartiene alla categoria dei viaggiatori per caso. Se nel viaggio russo gode di qualche privilegio, in Persia non sarà che un infelice schiavo cristiano in un Paese musulmano. Chiariamoci: quella di Struys non è una testimonianza colta, ma quella di un semplice marinaio che attraversa la Russia in un momento cruciale della sua storia, ma lo fa tenendo gli occhi bene aperti.

Pubblicati la prima volta ad Amsterdam nel 1676, i racconti di Struys hanno riscosso un immediato successo in Francia e Inghilterra. Non in Italia, dove non risulta sia mai stato tradotto.

Nel 1994, a Teheran, abbiamo avuto l'opportunità di acquistare una bella edizione francese dei Viaggi, quella del 1682: inseguendo tutt'altro, un deposito di vecchi numeri di Topolino Mondadori sfuggiti alla censura dei pasdarn, ci siamo imbattuti in una ricca raccolta di secentine. A Struys ci siamo affezionati subito.

Quando siamo stati trasferiti da Teheran a Mosca questo libro è stato un compagno di viaggio che ci ha consolato per avere perso l'Iran, aiutandoci a scoprire una delle tante Russie esistenti.

Ha senso, oggi, raccontare di Russia e di Persia? Purtroppo sì. I secoli trascorsi dal viaggio di Struys, e gli anni che ci separano dalla nostra esperienza iraniana e moscovita, sembra abbiano definito e consolidato un destino comune per queste nazioni. Diverse in tutto ma tragicamente accomunate da una concezione divina del potere che in Occidente è stata per sempre cancellata dalla Rivoluzione Francese.