Quando si scrive poesia spesso ci si affida al ricordo e alle sensazioni; ricordare vuol dire parlare di un tempo avvenuto, di ciò che non c'è più, è sparito, tramutato appunto in ricordo. Parlare di ciò che è stato e oltretutto in forma poetica e utilizzando le possibilità offerte dalla retorica, in primis, per me, la metafora, equivale ad una doppia difficoltà, con la coscienza che qualcosa sfugge senza essere in grado di definirlo (seppure lo si avvertia). E poi c'è anche il fatto che non sempre ciò di cui andiamo raccontando nei ricordi è determinante, "importante" per la nostra vita. Anzi, spesso le cose più importanti sono proprio quelle che più nascondiamo, inconsciamente, e che nel racconto tendono a sfuggire. Resta però confermato che spesso di ciò che abbiamo scritto, a chi legge piace ciò che è solo 'contorno', o intuizione momentanea, non per ignoranza ma per disabitudine alla parola, alla poesia, oppure per la prepotente emozione individuale o ancora per l'esigenza di curvare le parole adattandole alle sensazioni dei propri vissuti (proprio come capita anche a me quando l'emozione della lettura sovrasta il racconto stesso).