Il trattatello "Del sublime" - anonima monografia in greco del I secolo, un tempo erroneamente attribuita a Cassio Longino - è una delle opere più famose e di più densa risonanza che l'antichità ci abbia trasmesso sull'esperienza estetica. Concepito nell'inquieta temperie della prima età imperiale, il trattato fa suoi i grandi temi letterari del tempo, segnati dall'amara riflessione sul declino morale che insidia le fonti stesse dell'arte.
Anche l'anonimo autore, in cui la dottrina retorica convive con tratti di moralismo stoico e di cultura giudaica, vuol contribuire al recupero della potenza espressiva svilita. E al di là della piacevole armonia indotta dagli espedienti formali che agiscono solo in superficie, egli riconosce nel "sublime" il culmine della fascinazione artistica, le cui radici affondano nella tensione ideale del talento crativo. "Il sublime" egli dice " è l'eco di un alto sentire", che si traduce nella solennità di un linguaggio capace di travolgere l'ascoltatore in una sorta di vertigine, colmandolo di sentimenti ineffabili. Sublime è la proposizione iniziale della "Genesi", sull'istantaneo irrompere della luce sulle tenebre, sublime la passione tormentosa di Saffo, il silenzio corrucciato di Aiace nell'"Odissea", l'irruenza violenta e sopraffattrice di Demostene.
Attraverso un fitto ordito di confronti e di citazioni, scelte tra i modelli più alti della letteratura antica, il discorso delinea i modi di una critica originale, sentita come educazione alla grandezza: una critica le cui suggestioni avranno particolare influsso sulla nascita dell'estetica preromantica. Dell'opera, conosciuta spesso solo per fama o per citazioni di riporto, la BUR propone il testo integrale nella traduzione di Francesco Donadi, con un notevole apparato di note esplicative.
Edizione con testo originale a fronte.