"Romanzo a tal punto ingenuo e non artificioso; come se in questo miracolo dell'arte, l'arte fosse sparita, persa, giunta fino alla naturalezza". Queste parole riferite da Dostoevskij alla "Figlia del capitano", si possono estendere all'opera di Puskin nel suo complesso: la genialità del romanziere e del poeta è proprio quella di far apparire ingenue, prive di artificio, pagine che nascono invece dall'artificio supremo dell'arte.
"La figlia del capitano", pubblicato nel 1836, una delle opere più celebrate di Puskin, è un romanzo breve e complesso, dove molte linee si intrecciano: la cronaca di famiglia e la grande storia (la rivolta dei Cosacchi di Pugacjov); il romanzo d'amore, tracciato, forse non senza un lieve sorriso ironico, naturale in Puskin, secondo i canoni sentimentali dell'epoca, e la fiaba; la realtà e l'invenzione fantastica. E proprio a cavallo tra fiaba e realtà si situa uno snodo cruciale del libro, l'incontro fantastico tra la figlia del capitano, Mar'ja Mironova, e l'imperatrice Caterina. A lei la giovane protagonista si affida con tutta l'ingenuità e la freschezza del suo cuore e a lei, nella realtà storica ben più donna di potere che 'buona fata', si deve il lieto fine, appunto fiabesco, della vicenda.