«Tutte le volte in cui sperimento una ferita, mi squarcia e al tempo stesso mi offre lo specchio più autentico per vedere chi sono. Chi sono io? Sono una storia. Impastata di carne ed eterno, è perdendo il bisogno di sapere tutto che si schiude il mistero: quello che non si può dire parlando. Quello che non si può dire se non ringraziando. È perdendo le parole che s'imparano quelle degli altri. Sicché, è dalla capacità di ammutolimento che discende la possibilità di diventare poliglotti. Gratitudine e misericordia richiedono l'eroismo del saper stare nudi. Tra misericordia e poesia, spesso senza parole, il mio Signore Poeta mi getta. Per scendere da quella nave. E perdere le parole. Ma non per questo diventare muti. Anzi. Ma non per questo diventare sordi. Anzi. Giocare: gravida via per sciogliere l'inflessibilità e ogni coazione a ripetere la vita come un copione sempre uguale. Giocare: esercizio di fecondità, in cui nessun esito è predefinito e dove ogni dato può sempre essere riprogettato. Giocare è il regno di Dio. E morire mi resuscita. Questo il senso della poesia: sto al cospetto della Divinità che non coincide con quello che io posso sapere e mi ammutolisco».